Ogni 10 agosto, la sera di San Lorenzo e delle sue stelle, esprimo il desiderio tanto vago quanto necessario che mi accompagna dai miei primi intendimenti: voglio essere libera. E quando non succedeva mi dicevo che fuori poteva succedere qualsiasi cosa, ma dentro, nessuno avrebbe potuto impedirmi di ragionare. La mente è sempre stata il mio spazio di libertà.
Da che ho memoria ho sempre cercato la libertà.
Rivendicando il silenzio a ogni ingiustizia ricevuta, negoziando il permesso di uscire a 16 anni, costruendo il mio carattere nelle relazioni soffocanti, sbilanciate, di poco rispetto, nell’idea in continua trasformazione che ho del mio corpo, in ogni persona che decido di vedere, a ogni evento/passione/idea a cui dedico tempo e risorse, ogni volta che mi sono chiesta perché dovevo rimanere in ufficio anche se avevo finito quello che dovevo fare. In tutte le mie prigionie, fisiche e mentali.
Ma cosa significa essere liberi? Che cosa implica nella nostra giornata? Davvero essere liberi vuol dire fare quello che vogliamo? E che ne è dell’adagio “la nostra libertà finisce laddove inizia quella dell’altro”? Veramente possiamo essere liberi se siamo sempre connessi a un telefono o se abbiamo dei doveri quotidiani?
Spaccata in due
Provo a rispondere a queste domande, iniziando con il dividere la libertà in due grandi categorie: la prima, è la libertà di agire. La libertà di agire è la capacità di agire secondo le nostre scelte senza ostacoli e senza interferenze dall’esterno. Molte delle libertà politiche riguardano la libertà di azione. Per esempio, la libertà di circolazione, la libertà di espressione, la libertà di stampa, di credo e religione, di associazione, di riunione. La libertà di agire è il pilastro indispensabile alla costruzione delle nostre società. È l’aria fresca che soffia nella direzione opposta alla prigionia, alla censura, alla schiavitù, alla dittatura. Rifiuta le minacce e si oppone alla forza che vuole costringere qualcuno a fare qualcosa. Il timore di perderla è oggetto di buona parte delle nostre manifestazioni. Quello che sta succedendo in queste settimane in Francia, qui a Parigi soprattutto, ne è la prova. Dalla Marsigliese a Bella Ciao, la libertà rifiuta di essere incatenata e canta.
Ma la libertà di agire non è la sola esistente. Ce n’è un’altra decisamente più complessa da inquadrare. Si tratta della libertà di volere che chiamiamo forse più comunemente libero arbitrio, cioè la capacità di fare cose che partono da noi. La facoltà di determinare le regole della nostra condotta in autonomia.
Mentre la libertà di azione è esterna a noi, la libertà di volontà è interna, è uno stato d’animo che viviamo dentro ed è al centro di tutte le libertà: pensare con la propria testa, riflettere in maniera critica, avere il controllo dei propri desideri, scegliere in base a ciò che sentiamo.
La libertà di volere in un certo senso si oppone all’impulsività: implica il non essere schiavi dei propri desideri, non essere dipendenti da droghe, da dottrine, non essere sotto l’influenza di un gruppo, di un’ideologia, del marketing.
Prova a passare in rassegna la tua vita. Potrai accorgerti facilmente di quanto la libertà di volere sia difficile da conquistare perché ci costringe a mettere in prospettiva i nostri strappi. Mi spiego meglio.
Tempo fa ho visto Unorthodox, una miniserie in cui la diciannovenne Esther "Esty" Shapiro di fede ultra-ortodossa chassidica che vive nel quartiere di Williamsburg, a Brooklyn è costretta a seguire le rigide regole della sua comunità. Dopo un anno di matrimonio combinato, decide di scappare a Berlino e rifarsi una vita. Episodio dopo episodio, assistiamo alla sua trasformazione e al suo cammino verso la liberazione. Rimette in questione le sue convinzioni, rompe le regole, si sgancia dalla sua famiglia, si rimette al centro delle sue decisioni.
Nel cinema e nella letteratura sono tante le storie di liberazione, in cui si cerca di mettere a fuoco la distanza tra quello che vogliono i protagonisti, da ciò che si aspettano da loro tutti gli altri. Sono storie che hanno sempre un grande impatto su di noi perché ci chiedono di riflettere sulle nostre libertà e sulle nostre scelte. Che cosa ne facciamo del nostro libero arbitrio? Quando possiamo dire di essere davvero liberi?
Alcuni filosofi possono aiutarci a trovare le sfumature e ad affinare i nostri ragionamenti.
La conoscenza
Cartesio nelle sue Meditazioni metafisiche (1641) ci dice che nell’atto di prendere una decisione intervengono la volontà e la conoscenza. La volontà è intesa come il potere di decidere se accettare, rifiutare o astenersi (in mancanza di sufficienti informazioni).
Volontà da non confondere con voglia. Per esempio, se ho voglia di una fetta di torta, non posso farci nulla, è un fatto. Nonostante questo, posso decidere se mangiarla o meno. Se ne ho già mangiate cinque fette, so che l’ennesima mi potrebbe far male, per questo decido di non mangiarla, pur avendone voglia. Non ho mangiato la fetta di torta perché ho la consapevolezza che troppi dolci fanno male. La conoscenza delle cose ci aiuta a prendere delle decisioni accurate: capiamo cosa ci fa bene e cosa ci male e ci comportiamo di conseguenza.
Più siamo coscienti di quello che decidiamo, più, secondo Cartesio, siamo liberi. Per questo, nel suo ragionamento, considera l’indifferenza il grado più basso di libertà, perché non conosciamo ciò su cui stiamo decidendo. È quando il nostro libero arbitrio è un po’ addormentato e decidiamo di fare una cosa con un grado di implicazione limitato.
Quello che Cartesio vuole dirci è che libertà e conoscenza sono inseparabili: soltanto conoscendo ciò che mi fa bene sceglierò liberamente. Ci consegna le chiavi di una libertà che ci coinvolge, che reclama il nostro intervento, il nostro addestramento.
La causa
Spinoza, lui, non è per niente di quest’idea.
Per Spinoza, essere libero passa per la conoscenza delle cause che ci portano ad agire. In sostanza, sappiamo dove vogliamo andare, possiamo addirittura scegliere, ma sappiamo perché lo facciamo? Perché decidiamo di votare un candidato, di vivere in questa o quell’altra città, di comprare una camicia o di non comprarla? Siamo capaci di risalire alle cause che ci hanno portato a queste scelte e a queste azioni?
Per Spinoza, le azioni degli uomini non sono mai libere. Sono sempre la conseguenza necessaria dell’educazione che abbiamo ricevuto, delle informazioni vere o false che ci fanno star bene, delle idee che abbiamo ascoltato. Spinoza raffredda di qualche grado i nostri slanci e mette in luce il carattere illusorio della libertà.
L’autenticità
Dobbiamo andare a casa di Bergson per ritrovare un battito liberatorio.
Secondo lui, la libertà si incarna nell’atto libero. L’uomo libero è colui che è in accordo con se stesso, che sa cosa vuole, cosa sceglie. Ma soprattutto si oppone all’uomo alienato che non sa cosa vuole, che non si riconosce nei suoi atti. Ma quello che lui chiama “atto libero” non è detto che sia necessariamente il più pensato o quello fondato sui motivi più razionali.
No. Nell’atto libero c’è tutta la personalità di chi agisce e che introduce una certa idea di coerenza. La libertà è dunque questa capacità di esprimere in un atto tutto ciò che più profondamente siamo.
Seguendo Bergson ci potremmo porre la domanda: qual è l'ultimo atto libero che abbiamo compiuto? Un gesto di resistenza? Un “no” deciso? Una direzione opposta e contraria alla massa?
La responsabilità
L’atto libero trova un'altra declinazione in Jean-Paul Sartre. Sartre associa la libertà alla responsabilità. Per lui l'uomo è il risultato delle scelte che fa nel corso della sua vita. La libertà umana è totale e inalienabile. Ma questa libertà totale ha una conseguenza, e cioè che l'uomo è sempre e comunque responsabile di ciò che è. È inutile invocare cause esterne che spiegherebbero o giustificherebbero le nostre azioni. Siamo soli, senza scuse, ed è per questo che siamo “condannati” a essere liberi, artigiani della nostra vita.
L'uomo non è definito dalla sua essenza, né dal suo inconscio, né dai suoi determinismi sociali o familiari, né da un destino o da una volontà divina, ma solo dalla sua esistenza. È del tutto libero poiché è determinato da ciò che fa e non da ciò che è. Ecco perché l'uomo è responsabile di ogni sua azione. E poiché la nostra libertà è completa, nulla può giustificare eventuali mancanze di morale o violazioni della morale, anche nei periodi più dolorosi della storia.
Lo testimonia La République du silence, questo magnifico testo pubblicato su Les Lettres françaises il 9 settembre 1944. Sono felice di condividerne un pezzettino con voi, con una traduzione da parte mia.
Non siamo mai stati così liberi come sotto l’occupazione tedesca. Avevamo perduto ogni diritto e prima di tutto quello di parlare; ci insultavano apertamente, ogni giorno, e dovevamo tacere; ci deportavano in massa, come lavoratori, come ebrei, come prigionieri politici; ovunque, sui muri, sui giornali, sugli schermi, ritrovavamo l’immagine immonda e insulsa che i nostri oppressori volevano darci di noi stessi: ma proprio per questo eravamo liberi. Il veleno nazista si insinuava nel profondo dei nostri pensieri e quindi ogni pensiero giusto era una conquista; una polizia onnipotente cercava di costringerci al silenzio e quindi ogni parola diventava preziosa come una dichiarazione di principio; eravamo braccati e quindi ogni nostro gesto portava il peso dell’impegno. Le circostanze spesso atroci della nostra lotta ci rendevano finalmente in grado di vivere, senza trucchi e senza veli, questa situazione straziante, insostenibile che chiamiamo la condizione umana.
Le pagine di Sartre colpiscono. Ma la cosa più notevole, senza dubbio, è che riesce a collegare la libertà individuale alla libertà collettiva.
Rimani libero di fronte alla morte. Rimani libero davanti alla solitudine per evitare che una sola parola provochi dieci o cento arresti. La libertà qui si rivela nella sua estremità, nella sua privazione, nella sua radicalità. È più che una questione di scelta, più che una questione di causa, è una questione di umanità.
L’indipendenza
Ma per onorare questa libertà, per dare questo potere al nostro agire, dobbiamo capire qual è il nostro campo d'azione. Essere liberi e libere, è anche saper individuare le cose che dipendono da noi e quelle sulle quali non abbiamo nessun potere. Anche se il mondo ci sfugge, anche se tutto intorno a noi sembra pieno di vincoli, rimaniamo liberi di pensare e di volere.
E allora come gli stoici, proviamo a distinguere le cose su cui possiamo agire e quelle su cui non abbiamo potere. Imparando a fare questa distinzione, impariamo a essere liberi indipendentemente dalle circostanze esteriori, a fare posto al nostro io pensante e agente. Liberi di decidere, liberi di agire nonostante non ne conosciamo le cause, liberi di essere autentici, responsabili, di essere indipendenti.
Ci sarebbe ancora tanto da dire sulla libertà, ma lo scopo delle Immersioni non è certo l’esaustività: sono scintille che hanno voglia di spingerci a pensare alla nostra personale esperienza.
Forse questa era più una newsletter da far uscire il 25 aprile. Esce a Pasqua, così hai un po’ di tempo per prepararti come si deve a festeggiare la libertà. Di libertà bisognerebbe parlare ogni giorno. Viverla e mai dimenticare.
Prenditi cura di te e di lei,
Chiara