Ciao, sono Chiara Gandolfi: verbal designer e voice actress. Con l’iscrizione a Immersioni hai vinto anche Misticanza di cose di lavoro che è questa newsletter qui, di pensierini veloci e fatti che mi girano intorno.
Un periodo di pensieri fissi. Che vorrei lanciare via, fuori dalla finestra, ci provo, mi sembra di esserci riuscita e invece mi giro. Sono sempre rimasti attaccati al muro.
Stephen Sondheim, compositore e paroliere, era noto per la sua abitudine di scrivere da sdraiato, perché, diceva, era meglio fare un pisolino veloce quando le cose non andavano bene. Sapeva che se si ha un problema creativo, schiacciando un pisolino, il più delle volte ci si sveglia e si trova una risposta. Il problema passa per l’inconscio e lì trova cose interessanti da portarci a galla al risveglio. Questo sonnellino strategico non è solo un rimedio per risolvere i problemi del lavoro creativo: può essere applicato alle conversazioni che non ci sentiamo ancora di affrontare, alle mosse che dobbiamo fare per lasciare il lavoro, la città, una relazione, alle sfide educative con la prole o agli atti di ordinaria amministrazione. I sonnellini ci danno l’impressione che per un po’ non siamo noi a occuparci di queste faccende e infatti è l’inconscio che lo fa. Sono fantastici i sonnellini anche perché interrompono la spirale negativa del senso di colpa o della vergogna. Un sonnellino è una pausa per le coscienze logorroiche.
Non tutti possono permettersi il lusso di un pisolino quando le cose non vanno bene. Narcolettici a parte. Ma ci sono casi in cui ognuno di noi può imparare a fare una pausa e a reindirizzare la propria attenzione su qualcosa che sembra anche solo di poco migliore del rimprovero o della lotta contro noi stessi. Spesso facciamo resistenza quando si tratta di ri-orientare il pensiero. È come se temessimo di fallire se non facciamo quella cosa in questo preciso istante. Così ci convinciamo che è meglio continuare a lottare. Corriamo perché ci fa troppa paura rimanere fermi. Non abbiamo forse scelta o influenza sul caos del mondo, ma abbiamo la possibilità di decidere a cosa dare spazio.
Naming à la carte
Una guida personalissima ai nomi dei ristoranti in cui vado
Con la rubrica Naming à la carte, vado a cercare la storia dietro il brand name dei ristoranti, dei bar e dei locali che frequento a Parigi. E poi li racconto: se sono buoni o no per il mercato e per il loro pubblico, se funzionano, come e perché. Significato, aspetto, pronunciabilità, promessa, valori, marketing, posizionamento, fonetica, atmosfera e a volte anche architettura. Nel menù di febbraio, L’arpège di quel genio di Alain Passard. Qualcuno me l’ha chiesto, no, nessuno mi paga per scriverne. Mi diverte, mi piace mangiare bene e veg e avere intorno i nomi.
Vuoi aprire un ristorante? Diamogli un nome.
Alain Passard per Maison Fragile © dimajstudio
Frammenti di faccio cose
Ho consegnato un payoff a Seattle e sa di gelato. Sto lavorando a un brand name per una start-up in tempi record. Ad aprile potrei lavorare al tuo?
Ho registrato con la mia voce altre linee per le audioguide dei TOOTBUS, i bus turistici di Parigi, Londra e Bruxelles. L’AI ci alita sul collo.
Ho donato i capelli a un’associazione che fa parrucche per le persone che affrontano la chemioterapia. Adesso sono così.
Mi sono operata alla palpebra: ho tolto due cisti. Ora vi vedo tutti molto meglio. Ma se vi avvicinate, vi sono grata.
Ho comprato e iniziato a leggere un libro senza conoscerne la trama, solo perché una persona di cui mi fido ha scritto una bella recensione su GoodReads. Non sono facilmente influenzabile, no. Una citazione tratta dal libro è ora nelle slide di Storione.
Ho registrato un nuovo dominio su internet in attesa di diventare brava con le tazzurrelle. Il nome è ancora top secret ma io lo amo già alla follia.
Consegne e corrieri: dopo aver perso i quaderni di Storione, hanno perso anche l’alimentatore dell’aspirapolvere Dyson. Sto immaginando il corriere che torna a casa e dice “Rosa, ancora due pezzi e poi ce l’abbiamo tutto!”.
Oppure c’è un buco nero, un triangolo delle Bermuda dove finiscono tutti gli oggetti che non vengono consegnati e risultano dispersi: “ti. ti. ti. tiiiiiiiiii. L’abbiamo perso, capitano." Chissà come si sentono abbandonati.
Sono andata a vedere la mostra al Petit Palais “Paris et la modernité”: gli oggetti mi fanno più effetto dei dipinti. La loro tridimensionalità ha un fascino intrinseco che me li fa sentire più vivi.
A teatro ho visto Amanda Lear con una pièce teatrale leggerissima: lei la migliore in scena. 189 anni e ha recitato meglio di tutti.
È tutto da parte mia. Ma se tu vuoi scrivermi qualcosa, un ciao, un quantunque, dirmi buona notte dopo un sonnellino, in bocca al lupo per Storione, mandarmi un haiku, farmi cambiare idea sui corrieri, sono qui. Se no, ci troviamo sul fondale nella prossima Immersione.
Prenditi cura di te,
Chiara