Che bella idea dedicare la newsletter estiva al tema dell’impegno. Così anche al mare avrai uno scoglio e in montagna, beh, la montagna.
Queste riflessioni sono arrivate dopo il lavoro che ho fatto insieme a Marta Cagliani, grafica che lavora con le nonprofit per cui ho scritto il Manifesto.
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Da che ne ho memoria, la mia vita è associata all’impegno. Mi sono sempre impegnata per fare tutto: per riuscire a scuola, per vivere relazioni di coppia, per entrare nella squadra di pallavolo, per i saggi di pianoforte, per trovare i soldi per il viaggio a New York, per imparare il francese, per il corso di teatro, per ricostruire ogni volta a partire dalla cenere la mia vita successiva. C’era dentro una bella dose di sacrificio, ma magari di questo ne parliamo un’altra volta, muniti di fazzoletti e dotate di crediti psicoterapia.
Assumersi un impegno
Il primo livello dell’impegno è quello che ci richiede una cura nel seguire regole o nel portare avanti una relazione. Si tratta di contratti, impliciti come in un'amicizia dove c’è un patto relazionale non scritto, oppure espliciti come un rogito o un contratto di lavoro dove firmi e ti prendi la responsabilità di fare qualcosa. Ma l'impegno non è solo seguire una condotta. Significa anche prendere una decisione che implica metterci al servizio di una causa che riteniamo giusta. Impegnandoci, ci rendiamo conto di essere responsabili di una situazione e decidiamo di cambiarla. È capire la misura della nostra responsabilità, affermare che una certa situazione non è più tollerabile e decidere di fare qualcosa. È il motivo per cui per esempio sono diventata vegetariana, per cui compro da realtà responsabili il più possibile locali evitando sprechi e acquisti inutili, per cui sostengo attività legate alla tutela degli animali, per cui vorrei mettere il mio lavoro sempre più al servizio di realtà che si impegnano a livello ambientale e che tutelano le diversità.
Senza ricorrere alla narrazione grandiosa e celebrativa del sé (bravo tu che fai beneficenza), l'impegno è un'esperienza di apprendimento concreta. Ci si sporca le mani, proprio come in officina. Ci si mette all'opera.
Non si tratta più solo di rispettare un quadro o di entrare in un rapporto contrattuale, ma di agire consapevolmente, di mettere in prospettiva le nostre azioni, in discussione i nostri comportamenti, di lasciarci coinvolgere e di accettare che apparteniamo al mondo in cui viviamo. L’'impegno è un'azione globale.
Il tempo dell’impegno
La settimana scorsa mi ha fermato una ragazza che raccoglieva iscrizioni in strada per Amnesty International. Ero in ritardo (come al solito), ma mi sono fermata perché aveva un sorriso killer, di quelli che ti stendono, l’ho lasciata parlare un po’, ma al momento del dunque (lasciami l’IBAN e dona ogni mese) non me la sono sentita. Non è mai il momento giusto per prendere un impegno, che si tratti di una relazione, di una donazione ricorrente, di un'azione dentro un'associazione. Non esiste il momento perfetto. Bisognerebbe sentire quello che Spinoza chiama conatus, quella spinta a fare, quel desiderio di perseveranza che ci definisce.
Lo sforzo (conatus) con cui ogni cosa cerca di perseverare nel suo essere non è altro che l’essenza attuale della cosa stessa.
Bello, certo, e pure mistico, ma diciamoci la verità: è raro farsi svegliare una mattina di soprassalto da una causa che pulsa nel petto, una causa che richiede la nostra totale dedizione.
Magari lo desideriamo, avere qualcosa che dia improvvisamente senso alla nostra esistenza così tanto da sconvolgere l'ordine stabilito, scuotendo certezze e abitudini. Non si tratta di aggiungere un'ulteriore incombenza nella nostra vita già piena di impegni. Al contrario, è un vero e proprio motivo di orgoglio, una chiamata, una boccata d'aria fresca, un movimento.
Perché prima delle ragioni per agire, ci sono i desideri di agire. Bisogna ascoltarli, dar loro forma e legittimità. Ed è anche nostro compito, soprattutto, trovare un contesto adeguato, identificando e incanalando questi desideri, per aiutarli a crescere.
La militanza e l'attivismo sono varianti dell'impegno, ma non sono le uniche forme esistenti. Quando lo stacchiamo dall'idea di una lotta politica o di un passaggio obbligato, l'impegno diventa un'opportunità reale e un sostegno prodigioso per l'integrazione sociale. Diventa la capacità di appartenere a una società, a un gruppo, a una comunità, a una città, a una famiglia, qualunque sia la scala di grandezza. È un modo per farci toccare dal mondo esterno. Ma possiamo essere toccati senza esporci, senza interagire, senza conoscere la vita quotidiana, i bisogni, i dolori, le convinzioni delle altre persone o creature che ci circondano? E questo ci porta a un altro punto fondamentale dell'impegno. Non è solo una condotta, non è solo un'azione, ma anche un confronto.
La dimensione relazionale dell’impegno
Per prendere un impegno è fondamentale confrontarsi e scoprire: non partire con un'idea preconcetta o un pregiudizio ma aprire gli occhi, fare domande, lasciarsi trasformare dall'esperienza. A volte prendiamo un impegno prima ancora di renderci conto di averlo preso, semplicemente perché ci lasciamo raggiungere.
Incontri qualcuno per strada in difficoltà, vedi la cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici, leggi che esiste un’app che si occupa del piacere femminile e improvvisamente ti scatta qualcosa dentro. Non pensavi di prendere un impegno, eppure è l'unica soluzione possibile. Stai prendendo posizione.
L’auto-realizzazione dipende anche dalla sensazione di avere un posto nella società, di essere attesi, di essere considerati. Il senso della vita non deriva dalla soddisfazione dei bisogni primari. Emerge dalla comprensione della direzione che possiamo dare alla nostra esistenza. E questo percorso diventa più chiaro man mano che ci mettiamo in cammino.
È questo che intende la filosofa Hannah Arendt quando parla di vita activa. Con questa espressione intende l'azione di cominciare qualcosa usando la nostra libertà. Per lei agire significa impegnarsi con gli altri, ma anche con se stessi, mettendo in moto la propria esistenza. E qui è chiaro che impegnarsi non è affatto contrattuale, ma vitale. Impegnandoci, o meglio mostrando la nostra capacità di iniziativa, mettiamo in discussione l'idea più profonda che abbiamo di noi stessi.
I campi di intervento sono numerosi e testimoniano la diversità di questi impegni - salute, solidarietà, sport, educazione, cultura, ambiente - purché si esca dalla propria cameretta, purché si accetti di attivare la propria motivazione.
Impegnarsi significa anche agire per il bene pubblico. È un apprendimento della cittadinanza, la consapevolezza che abbiamo obiettivi comuni e che tutto ciò che facciamo può avere un impatto sulla società nel suo complesso. Così, c'è un doppio movimento, un dialogo tra il mondo esterno e quello interno.
E ora ti invito a chiederti: che tipo di persona voglio essere? Qual è il mio ruolo in questo mondo? Quali sono i miei legami? Qual è il mio progetto di vita?
Non sono domande leggerine me ne rendo conto: daremo la colpa al fatto che ho iniziato un bilancio di competenze per cui è più o meno un mese che mi pongo domande esistenziali a cui ogni giorno do risposte diverse.
Non lo si sa prima di impegnarsi, lo si sa solo dopo. L’impegno racconta la storia di una persona che sa fare il grande passo e che, dopo essersi impegnata, scopre un lato di sé che non avrebbe mai potuto immaginare.
Buona estate, stacco un po’ anche io.
Prenditi cura di te,
Chiara
Grazie Chiara per questo carico di domande, perché a volte, oltre a sentirle nella propria testa, c'è bisogno di leggerle in altre voci. Buona estate.
Chiara l'ho ascoltato adesso ed è veramente ben fatto , con una voce direi perfetta ! Io ormai 'drogata' di podcast quindi sto diventando esperta :-D Buone vacanze e ci risentiamo a fine agosto <3