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Il corpo cos'è?

BalenalaB
Nov 20, 2022
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Da un anno ho ricominciato a fare un po’ di sport: pilates, qualche sessione di yoga, da tre mesi danza classica; per spostarmi, quando posso, vado in bici. Mi piace ritrovarmi stanca, vedere la linea dei muscoli delle cosce affiorare, imparare a fare qualcosa che poco prima non sapevo fare, mi fa sentire dentro di me. Per anni mi sono completamente dimenticata di avere un corpo. Ancora oggi non indugio davanti allo specchio, mi vesto più per praticità che per piacere, non mi riconosco mai davvero in niente che mi metto addosso. Ho smesso però di nascondere le imperfezioni tipiche del mio essere umana, le caviglie e le gambe in particolare che non mi piacciono e mi hanno sempre fatto sentire a disagio.

Penso che questo sia dovuto al fatto che consideravo il mio corpo qualcosa che mi apparteneva e non qualcosa che ero.

E in questi 42 anni non gli ho risparmiato un bel niente: l’ho odiato, danneggiato, stravolto, indebolito, maltrattato, scorticato, svuotato, purificato, imbottito, adorato, ignorato, abbandonato. 

A 16 anni è il seno piccolo, il pene piccolo.

A 22 anni è una questione di flessibilità.

A 35 anni sono le culotte de cheval, le maniglie dell’amore.

A 42 anni, è tutto un lavorare sulla muscolatura.

A 57 è il grasso addominale.

A 69 sono le braccia che cedono alla gravità.

A 78 anni, è l'anca. 

A 85, il pancreas. 

Il corpo rivela tutto il nostro caos, tutte le nostre paure.

Il corpo è la parte più visibile di noi, di ciò che siamo.

Non abbiamo un corpo, noi siamo un corpo.

E spesso lo spettro della perfezione avvelena il nostro sguardo su di noi e va a braccetto con i giudizi che diamo. In un mondo di dualismi anche io sono stata abituata a fare dicotomie e a schierarmi: alto e basso, grasso e magro, bianco e nero, brutto o bello.

Eppure sulla mia pelle ho dovuto arrendermi al fatto che siamo molto più di quello che crediamo di essere e che il corpo è un’occasione affascinante per conoscere il mondo, qualcosa che mi separa dall’esterno ma che allo stesso tempo mi ci mette in contatto. Attraverso il corpo sento, sto male, sto bene. Vivo.

Cos’è il corpo

Sangue, carne, grasso, midollo osseo, epidermide. E poi? Quando proviamo a definirlo, ci rendiamo conto di una cosa, estremamente banale: non c'è vita senza un corpo. È nel e con il corpo che ognuno di noi nasce. È nel corpo che impariamo, che ci incontriamo, che sentiamo, che comprendiamo, che soffriamo. Siamo il nostro corpo. Eppure, il più delle volte, lo consideriamo un fardello da portarci appresso. 

Anche i filosofi sono di questo avviso, tanto che hanno da sempre preferito meditare sull'anima e sulle passioni: hanno studiato la conoscenza, hanno criticato la ragione, ma raramente hanno guardato alla realtà del corpo. Platone, lui sì, ha parlato di corpo e ha detto che è una prigione. Iniziamo bene! Ma da qualche parte bisognerà pure iniziare.

Il corpo prigione, Platone

Per comprendere l’idea di corpo in Platone bisogna passare attraverso il suo pensiero sulla morte. Per lui la morte non è da temere anzi è una sorta di liberazione, si tratta della separazione dell'anima dal corpo. Stop. 

In diversi dialoghi, in particolare nel Gorgia e nel Fedro, Platone definisce il corpo come una tomba, una prigione per l'anima immortale. Nel suo approccio, il corpo è ciò che ci distrae da ciò che conta, ci allontana dal ragionamento, dal dialogo dell'anima con se stessa e quindi dalla conoscenza. Presentato in questo modo, non c'è granché di piacevole. A sentir lui verrebbe voglia di sbarazzarsi del proprio corpo prima di subito, un oggetto pesante che ci riporta nella caverna del sensibile.

Il corpo macchina, Cartesio

Cartesio paragona il corpo a una macchina ultra sofisticata in cui tutti i fenomeni fisiologici, la digestione così come la respirazione o la vista, possono essere descritti con grande precisione. E l'anima in tutto questo? L'anima esiste per guidare la macchina. È pratico immaginare che non siamo molto più che un meccanismo che ha bisogno solo di essere messo in funzione. 

Quindi per Cartesio ci sono l'anima da una parte, il corpo dall'altra. Detto oggi, non sembra per niente una rivoluzione. Ma a quel tempo questa visione qui era una bomba arrivata dal futuro. Dalla prigione si passa alla macchina governata dallo spirito. 

Andiamo un po' più in là, perché Spinoza non la pensa per niente così.

Il corpo non mente, Spinoza

L'idea di un'interazione tra corpo e mente come teorizzava Cartesio, a Spinoza sembra del tutto illogica. Né il corpo determina la mente a pensare, né la mente determina il movimento del corpo, né il riposo, né nient'altro. 

Spinoza separa l'anima dal corpo ma senza gerarchia, spiega che si tratta di due facce che esprimono la stessa realtà: l'essere umano. Non c'è corpo senza anima né anima senza corpo. È eseguendo questa coreografia a due che conduciamo le nostre vite: a ogni azione del corpo corrisponde una passione della mente. Quindi tutto ciò che è buono per il corpo lo sarà anche per l'anima. Se mangi bene, se ti riposi, se pratichi sport, l'impatto positivo ci sarà anche sull'anima. Il suo pensiero è perfettamente in linea con la frase di Giovenale “mens sana in corpore sano”. 

Il corpo disciplina, Kant

Kant segue Spinoza e va oltre.

Il corpo va rispettato perché padroneggia se stesso e agisce sulla mente. Gli eccessi e i vizi nel corpo vanno condannati perché si ripercuotono anche nella mente.

Mi immagino Kant come una sorta di allenatore severo della nazionale che ci incoraggia a ritrovare la nostra disciplina corporea.

Dobbiamo aspettare Merleau-Ponty perché il corpo sia considerato come lo strumento dell'essere nel mondo. 

Per lui in Phénoménologie de la perception, il corpo diventa una bussola che orienta attraverso la percezione del mondo, un“veicolo di comunicazione” e apertura verso un fine.

È considerato come qualcosa da cui l’uomo non può prescindere, che lo pone in contatto con il mondo esterno. 

“Non sono davanti al mio corpo”, scrive. “Il corpo non è un oggetto. Il corpo è il veicolo dell'essere al mondo. Quando ci perdiamo, non sappiamo più chi siamo perché essere è essere nella carne.”

Spesso ci dimentichiamo del corpo, tanto siamo concentrati sulla mente, la conoscenza, la riflessione, l'intelligenza, l'apparenza. Lo consideriamo come un oggetto che non conosciamo bene, con prestazioni che ci aspettiamo da lui continuamente. Viene spesso percepito come un peso da portare per tutta la vita, come un involucro sconosciuto che ci allontana dalla nostra anima, come qualcosa che deve funzionare e di cui ci prendiamo cura solo quando non funziona.

La verità per me è che il corpo è un oggetto misterioso. E la medicina, ma anche l'agopuntura, un massaggio, lo sport, l’alimentazione, le mani di un altro, sono mezzi che danno accesso a tutte le dimensioni del nostro corpo, a quelle interazioni che ci tengono in vita. 

Liberare il corpo dal nostro sguardo giudicante significa liberarsi dalla visione ristretta e cartesiana per accettare l’esplorazione.

Dopo il corpo prigione, il corpo macchina, il corpo disciplina, non è forse giunto il momento di riconciliarci con il nostro corpo? 

Non ho detto che sia facile accettare che il nostro corpo non risponda alle nostre fantasie di magrezza, forza, flessibilità ma magari possiamo iniziare, provando, rivolgendo uno sguardo più aperto verso di noi e verso gli altri. 

Cambiare le proprie rappresentazioni è un lavoro collettivo che passa attraverso l'azione. L'unico modo per farlo è aumentare la consapevolezza e la consapevolezza è qualcosa di diverso dal dare l'illusione di una certa forma di tolleranza. 

Il nostro pensiero passa attraverso le parole che usiamo per descrivere il mondo. E trasformare le nostre parole, significa trasformare i nostri sguardi, quelli che ci rivolgiamo e quelli che rivolgiamo agli altri. È saper riconoscere la misura di questa massa prodigiosa di cellule e di sensi che ci permette di vivere. E non mi pare affatto poco.

***

Notizie dall’autunno

  • A proposito di identità verbale, ho parlato di naming e di come un brand senza nome non può esistere.

  • In 3 mesi ho avuto il covid e due volte l’influenza: cosa dire d’altro?

  • A ottobre e novembre ho consegnato due manuali d’identità verbale, i testi per tre siti, un naming e un payoff per una start-up. Continuano le collaborazioni annuali con tre clienti.

  • Ho pubblicato un post su IG che è piaciuto molto: della stanchezza di essere freelance e di quando quest’estate ho mandato un cv per farmi assumere.

  • Da Stylo, il mio blog personale, nuovo articolo “La vita degli altri e io”.

  • Piano editoriale: incredibilmente ne ho fatto uno per me, era secoli che non.

  • Ho visitato St. Malo e sarei rimasta ancora a farmi brezza e pesciolino.

  • A Parigi: sono andata a sentire Nicola La Gioia parlare del suo ultimo libro La città dei vivi. 

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