Gennaio è finito: per antonomasia il mese delle decisioni importanti e dell’ottimismo. 10 giorni dopo siamo di nuovo perse e dispersi.
Ma abbiamo davvero bisogno di pensare prima di agire? Forse più utile del voler controllare tutto è il sapersi adattare alla realtà.
La scrittura di sé è un esercizio di flessibilità: ci insegna a vedere le nostre storie da nuove angolazioni, ad adattarci senza perderci. Se vuoi provarci o regalare questa opportunità a qualcuno che ti sta a cuore c’è Storione, il corso per imparare a leggersi e a scriversi. Per gli iscritti alla newsletter l’early bird (che finisce oggi) è prolungato fino al 15 febbraio. Risparmi il 20%. Vieni?
E vive ancora il sentimento delle cose, mentre noi amiamo controllare tutto. La vita i pensieri degli altri, la morte.
E non amiamo neanche il pane che mangiamo. Noi non ringraziamo. Ma vive ancora il sentimento delle cose.
Vivono gli alberi le case i sassi i nostri sogni le tv a colori, le navi senza radici. E siamo stupidi a pensare di esser soli, senza più limiti senza più colori. Mentre noi siamo tesi a moltiplicare tutto.
Non riusciamo a considerare che le nuvole ci guardano e i mari ci controllano. Ho visto i platani parlare con le antenne e il vento caldo confermare tutto, i treni e le radici scambiano segnali in codice. E ho sentito nettamente i cani bisbigliare.
Possibile che mentre dominiamo tutto, ricostruiamo tutto e distruggiamo tutto. Perdiamo la memoria e non ne sentiamo la mancanza e intanto i pesci continuano a nuotare.
Paolo Benvegnù
Che periodo. Schiaffi a destra e sinistra e resto in piedi. Niente di quello che sta succedendo intorno a me dipende da me come amerei. E io che sono un’interventista, passo all’azione anche quando tutto intorno sembra crollare. Rivedo i piani. Sono pronta a danzare con l’imprevisto e l’incertezza. Ho dovuto impararlo. Immersioni, in queste sue ultime puntate, mi aiuta a riflettere su ciò che vivo, che in definitiva è il suo scopo. Rendere la mia esperienza condivisibile perché possa essere di ispirazione, sostegno o anche solo conforto. E allora andiamo.
Per prepararsi alla finale, un campione di tennis studia gli schemi di gioco, le tattiche dell'avversario, si allena perché il suo corpo sia pronto. La preparazione non lo rende impeccabile, ma capace di improvvisare nel cuore dell'azione, tirare fuori quella mossa che farà la differenza. Lo stesso succede per una scrittrice quando prepara il suo saggio: ne crea il concept, imposta la struttura. Ma, attraverso il contatto con la scrittura, affina l’idea, chiarisce il pensiero, lo canalizza.
Non c'è nulla di sorprendente in questo, anzi forse qualcosa di rassicurante: l'azione sarebbe terribilmente noiosa se non fosse lo scenario di una rivelazione, dell'emergere di un senso, se non fosse il luogo della produzione. Il fatto che l’azione ci sorprenda, dimostra che siamo stati "mal educati", cioè ci hanno educato con la fantasia di un mondo prevedibile, nell'illusione che la nostra mente sia capace di anticipazioni razionali, che ci si possa proiettare nel futuro con un piccolo margine di errore. Se lo pensiamo stiamo sbagliando su tre aspetti: sulla vita, che sa benissimo coglierci alla sprovvista. Sulla ragione, le cui anticipazioni non sono razionali come credevamo. Sull'azione, che ha gran parte della sua verità in sé. Non c'è azione degna di questo nome senza un riaggiustamento permanente: agire significa rivedere di continuo le proprie previsioni. È molto raro che agire significhi attuare un piano. Anche quando tutto “fila liscio”, se ci facciamo caso, c’è una parte di piano che ha lasciato spazio all’adattamento, all’invenzione o all’improvvisazione.
Prepararsi all’impreparabile
Il successo dell'azione è in gran parte dovuto al talento di riorientarla non appena si manifestano i suoi primi effetti e quindi, più in generale, a una qualità dell'improvvisazione. Ma improvvisare non è un’arte amatoriale. È sapersi adattare al cambiamento facendo attenzione a tutti i segnali, anche deboli, che provengono dagli altri, dal mondo, da questa realtà che proprio l’azione ci permette di incontrare. Questa improvvisazione è quindi condizionata da una grande maestria. Nasce da una sorta di abbandono, di “impadronanza” fiorita sul letto della maestria.
L’azione richiede preparazione, anche quando si tratta di improvvisare. Anche il teatro ce lo insegna: sa improvvisare chi sa. Prepararsi non significa solo eseguire il progetto originale, ma anche accettare l’imprevisto. E forse, per riuscirci davvero, dobbiamo amare proprio questa imprevedibilità della vita che non si lascia calcolare e per questo ci affascina e non ci fa dormire la notte.
Prendi il kairos
Nella filosofia dell'azione di Aristotele, la capacità di cogliere le occasioni favorevoli, quei momenti opportuni che chiama kairos, è cruciale.
Che cos'è il genio?
È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione.Rambaldo Melandri, Amici miei, atto II
Kairos, nella mitologia greca, è un dio calvo: sfoggia una piccola coda di cavallo sulla parte posteriore della testa e per questo è difficile da acciuffare (sì, a quanto pare si prendevano per i capelli): la mano scivola sul suo cuoio capelluto liscio e non afferra. Le metafore riuscite. Per cogliere l'opportunità sono necessari intuito, reattività, disponibilità a questa realtà in costante cambiamento e movimento, un vero senso di attenzione. Il modo migliore per fallire nell’acciuffare il kairos è concentrarsi troppo sull’obiettivo, sul progetto iniziale, sull’idea.
Aristotele qui si oppone al suo maestro Platone e alla sua dottrina del cielo delle idee. Per Platone agire bene è prima di tutto pensare bene e, con l'idea perfettamente concepita agire. Aristotele, più moderno di lui, obietta che agire bene, soprattutto in ambito politico, è più un'arte che una scienza: un'arte della realtà, del tentativo, dell'errore, dell'adattamento, dello sguardo. È nel mondo della contingenza, non della necessità, che dobbiamo agire. In questo mondo, che Aristotele chiama mondo “sublunare” (letteralmente, sotto la Luna), ciò che è non avrebbe potuto essere o non potrebbe più essere. Che significa? Che bisogna essere attenti, vigili, umani: ciò che è lì, davanti a me, potrebbe benissimo scomparire presto, questa occasione propizia potrebbe non ripresentarsi. Sta a me rischiare di agire per coglierla.
Agire è progettare, ma in un modo che non ci impedisca di accogliere l’inaspettato: è saper pianificare il più possibile ma allo stesso tempo saper accogliere, e probabilmente amare, l’inaspettato.
Nuotare in un mare di incertezze
Troppo spesso pensiamo all’incertezza come a un’eccezione, a un incidente. Ci hanno insegnato, sui banchi di scuola, che potremmo ridurre al minimo l’incertezza perché, con il duro lavoro, arriveremo proprio là dove vogliamo arrivare. Ma questo è falso. La cosa principale è che non la vediamo arrivare l’incertezza. La storia recente ce lo ha ricordato: non abbiamo visto arrivare la crisi del Covid o la guerra in Ucraina. Abitiamo nell’incertezza. L’incertezza è la condizione naturale dell’animale umano. Tutt'al più, a volte, possiamo provare ad ancorare a questo oceano di incertezza qualche piccola boa di certezza: qualche valore o principio, qualche insegnamento tratto dall'esperienza, qualche obiettivo (spesso da ridefinire poi lungo il percorso). Se partissimo da questa evidenza saremmo meno indifesi, meno tremanti ogni volta che la realtà tenta di mettersi di traverso ai nostri piani. Potremmo anche arrivare a ridefinire la realtà come ciò che incontro e che mi resiste, quando le cose non vanno come previsto.
Decidere e scegliere
Accettare questa realtà di incertezza ci permette di comprendere meglio cos'è una decisione, in cosa si differenzia da una scelta e le qualità umane che richiede. La questione della decisione nasce solo da un certo grado di incertezza. Tra due opzioni, A e B, se riflettendo identifico chiaramente che l’opzione corretta è A, dico che ho scelto A. Quando, invece, dopo una riflessione sia personale che collettiva, dopo aver ascoltato consigli o consultato esperte, amici, tarocchi esito ancora tra A e B, è il momento di decidere. Scegliere è conoscere prima di agire. Decidere è agire prima di conoscere. Non decidiamo perché sappiamo, ma perché non ne sappiamo abbastanza, non abbiamo conoscenze sufficienti per scegliere in maniera sicura e fondata.
Va detto che non siamo aiutati dalla nostra cultura ed educazione occidentale che ci vuole vedere gestire tutto. È normale, e salutare aggiungerei, che genitori e insegnanti ci preparino alla vita, alle prove, agli esami, ma dovremmo ricordare allo stesso tempo che resterà sempre una parte di incertezza, probabilmente anche maggiore di qualsiasi cosa possiamo prevedere.
La data della fine della crisi è incerta, così come quella della nostra morte. Incerta è la durata dell’amore che abbiamo la fortuna di vivere. La mia salute, la riuscita dei miei progetti è incerta, anche il futuro del nostro pianeta è incerto: un incidente astrale simile a quello che “fecondò” la nostra Terra quattro miliardi di anni fa è, per quello che ne so, possibile. Ma questa incertezza è anche un’opportunità. In un mondo certo non ci sarebbe nulla da decidere: decidere è trovare la forza di decidere di fronte all’incertezza. È perché c’è l’incertezza che siamo liberi, una libertà angosciante, sono d’accordo, ma simile alla vera libertà. Ogni volta che proviamo a pianificare, e abbiamo ragione a farlo, dovremmo dire a noi stessi allo stesso tempo: faccio un piano ma dovrò anche sapere come reagire all’imprevisto. La mia libertà è in gioco tanto nella scienza della previsione quanto nell’arte dell’improvvisazione.
Correre il rischio di fallire
Si tratta, alla fine, della nostra libertà: decidere è compensare i limiti della nostra conoscenza con l'uso (e il coraggio) della nostra libertà. Quando scegliamo A, non siamo realmente liberi: obbediamo alla ragione, ci sottomettiamo alla logica del foglio Excel. Quando decidiamo, invece, quando corriamo il rischio di vivere che è anche il rischio di fallire, esprimiamo e sperimentiamo la nostra libertà. Una buona decisione è per definizione una decisione che potrebbe essere cattiva.
Ne abbiamo di perfezionisti in sala? Il perfezionista aspetta finché non è pronto ad agire. E possiamo sempre trovare un argomento per affermare che domani saremo più pronti. Rifiutando di gettarci nell'azione, ricercando la perfezione ci priviamo di tutto ciò che l'incontro tra l’azione e la realtà può insegnarci, ci priviamo dell'incontro con gli altri che l'azione rende possibile. Quando vogliamo essere perfetti ci separiamo dalla fiducia che l’azione stessa spesso ci fornisce. Quella gioia di cui si fa portavoce Lucia nell’Addio ai monti.
Chi dava a voi tanta giocondità [Dio] è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.
Alessandro Manzoni
Agire è riconfigurare una realtà che sta cambiando: è quindi due volte inutile voler sapere tutto della realtà prima di lanciarsi dentro.
Prepararsi all'azione non è nutrire l'illusione di essere pronti, ma al contrario riempirsi della forza vitale con la quale accettiamo di andare senza essere completamente pronti. Andare lì, decidere di andarci, perché non ne sappiamo abbastanza. Andare lì, perché altrimenti non lo sapremo mai.
Grazie Chiara per questa puntata piena di certe incertezze 💛.
Posso dirlo?
IMMENSA
Grazie, grazie... grazie!