Quando riceverai questa mia, avrò da qualche ora raggiunto le Marche. Il Natale è l’EVENTO in cui la mia famiglia si ritrova. Quando ero piccola, ricordo una tavolata lunghissima a casa di mia nonna fatta di tavoli che tutto l’anno dormivano in cantina e venivano tirati su il 24 dicembre e riportati giù il 7 gennaio. I parenti rimanevano per giorni a dormire da lei, noi piccole facevamo le scorribande nella stanza di mio zio Angelo ad ascoltare i Beatles saltando sul suo letto. E poi c’erano le partite a carte dei grandi fino a notte fonda, la tombola, i regali, i maccheroncini di Campofilone fatti in casa e kg di torrone Zanzibar, la messa di mezzanotte e io addormentata sul divano alle 22h, i piedi delle zie di mia mamma tutti uguali, la cucina fumante con i fornelli che lavoravano a tutte le ore del giorno.
Quest’anno a Natale saremo solo in 5. Tutti gli altri non ci sono più.
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La famiglia è uno dei temi che mi interessa di più al mondo. Nell'amore, nell'assenza, nella tossicità e nella frustrazione, la famiglia è il nucleo da cui tutto parte. Interrogarla significa immergersi nell'abisso della nostra genealogia, riflettere su tutto ciò che ci precede e su tutto ciò che ci sopravviverà, e forse scegliere ciò che decidiamo di portare o di abbandonare.
La famiglia è giuridicamente definita, eppure è un mistero. Cosa sono per noi genitori, figli, nipoti, zii e zie, nonni e nonne? Cosa ci lega a questi individui? È il sangue? Il dovere? L’amore? Il riconoscimento? L’abitudine? Perché è così difficile accontentarsi, ma anche così difficile farne a meno? Perché è così prezioso e spesso così complesso? Perché è insopportabile e a volte così bello?
Parlando di famiglia, forse la cosa più difficile è definirla. Perché nel momento stesso in cui pronunciamo la parola “famiglia”, il pensiero torna alla nostra, a quella che facciamo disegnare ai bimbi a scuola all'inizio dell'anno, a quella la cui foto è appoggiata sulla nostra mensola, a quella la cui stessa appartenenza ci fa a pezzi. Prima ancora di tentare una definizione, siamo ridotti a una manifestazione singolare, al nostro nucleo familiare.
Questo significa che la famiglia non può essere definita, ma solo vissuta? Proviamoci. Dire che una famiglia è composta di genitori e figli non è corretto. Perché in questa visione incompleta, che ne è dei genitori dei genitori, dei figli dei figli, ma anche degli altri, di tutti gli altri, delle figure familiari che non sono né figli né genitori, ma che sono presenti, che aiutano, che rafforzano? E in questo schema di cose, cosa fare degli assenti, dei defunti, degli ascendenti, degli estranei, degli illegittimi?
Qualcosa disturba, sconvolge, ci porta altrove. Ed è proprio in questo altrove che Claude Lévi-Strauss forgia la sua visione, nel suo bellissimo testo Le Regard éloigné (Lo sguardo da lontano), pubblicato nel 1983. L'etnologo descrive la sorprendente varietà di sistemi di parentela presenti sul nostro pianeta.
In alcuni ci sono persone monogame. In altre, poligame. Qui si resta a casa con i genitori. Di qua, ci si allontana da loro. Là, si raggruppano giovani adolescenti e single, poi persone sposate senza figli, poi persone sposate con figli. Qui, ai giovani è concessa la libertà sessuale. Lì è vietata. Qui si può prestare la propria moglie a un ospite. Altrove, la si nasconde agli estranei. Ma a prescindere da queste variazioni, questa varietà va di pari passo con la presenza universale di legami familiari in società comunque molto diverse. Spesso includono il matrimonio, i legami tra genitori e figli, le norme giuridiche, gli obblighi economici, religiosi e sociali, i diritti e i divieti sessuali. Claude Lévi-Strauss riconosce che la famiglia è universale.
Ma ciò che universale non è, sono le regole che la governano e la organizzano. Come spiega il filosofo André Comte-Sponville, queste regole e i tabù, come l'incesto per esempio, ci permettono di passare dalla natura alla cultura, dall'umanità biologica all'umanità culturale, dalla filiazione della carne alla filiazione dello spirito, dall'umanità come specie all'umanità come valore.
Non si tratta solo di mettere al mondo dei bambini. Si tratta di partecipare alla storia, alla storia della nostra umanità. Quindi, alla domanda se le origini della famiglia siano nella natura o nella società, potremmo dire subito che non c'è un solo filosofo disposto a difendere la famiglia come un fatto di pura natura. Tanto meno Rousseau, che ritiene che non esista una famiglia allo stato di natura e che tutta la sua complessità derivi proprio dal fatto che è organizzata socialmente. In fin dei conti, definire la famiglia significa elencare le regole e i doveri che si articolano attraverso un sistema di valori. Sì, ma se queste regole e questi doveri danno alle nostre famiglie la loro esistenza nella scala di una cultura o di una società, ci sono anche tutte le altre regole, tutte le abitudini che modellano la nostra vita quotidiana e danno alla nostra famiglia la sua unicità. Perché nascere in una famiglia significa entrare a far parte di un ecosistema con determinate funzioni, alcune delle quali non comprendiamo nemmeno.
Di tanto in tanto queste abitudini diventano un fardello che ci portiamo dietro nostro malgrado. Perché alcune persone cucinano con il burro e altre con l'olio d'oliva? Perché certe foto sono nascoste in fondo all'armadio e altre sono esposte nella stanza principale? Perché è vietato pronunciare certi nomi? Perché tre generazioni di seguito soffrono di mal di schiena? Perché alcune famiglie si baciano e altre evitano il contatto fisico? E perché alcuni dei nostri comportamenti non sembrano essere del tutto nostri? Sono queste le curiose domande a cui si è dedicata la psicologa e psicoterapeuta Anne Ancelin Schützenberger sviluppando la psicogenealogia. La psicogenealogia è un metodo di indagine che studia le caratteristiche psicologiche della persona in base alla propria discendenza storico-familiare. È un approccio che ci permette di comprendere e utilizzare al meglio il nostro patrimonio psichico, o se necessario di trasformarlo. È una scienza che ci accompagna attraverso i rami dell’albero genealogico per scoprire gli eventi del passato che continuano a influenzare le dinamiche del presente.
Perché, come dicevo poco fa, nascere da qualche parte, amati, abbandonati, coccolati o maltrattati, significa nascere con un'eredità molto diversa da una semplice eredità finanziaria. Ed è proprio questa eredità che l'autrice si propone di sviscerare nel suo libro “Oh, i miei antenati!”. Ma attenzione, il libro di Anne Ancelin Schützenberger non parla di situazioni fisse o di fatalità, ma piuttosto di un invito a guardare più da vicino le nostre famiglie, a osservare gli schemi e le ripetizioni. L'autrice lo spiega così:
Siamo meno liberi di quello che crediamo, ma abbiamo la possibilità di conquistare la nostra libertà e di sfuggire al destino ripetitivo della nostra storia familiare comprendendo i legami complessi che si sono tessuti nella nostra famiglia e facendo luce sui drammi segreti, i non detti, i lutti incompiuti. Si tratta di fare il duro lavoro di interrogare i segreti di famiglia, di rintracciare le nostre lealtà invisibili, quelle che ci costringono a pagare i debiti, a volte anche i debiti dei nostri antenati.
Le dobbiamo uno strumento inestimabile: il genosociogramma, una sorta di albero genealogico che si concentra su eventi particolari che spiccano, eventi sconvolgenti, nel bene e nel male, malattie, incidenti, nascite, che a volte coprono una dozzina di generazioni.
E quando si riesce a ricostruirlo, ci si trova di fronte a una sorta di romanzo familiare, che permette di capire certe ripetizioni. Perché l'altro punto fondamentale del suo approccio è la nozione di compiti interrotti. Tutte quelle cose su cui a volte ci soffermiamo per tutta la vita. Secondo Anne Ancelin Schützenberger prendere coscienza delle ripetizioni può talvolta essere sufficiente a creare un'emozione abbastanza forte da liberare la persona dal peso delle fedeltà familiari inconsce. Ovviamente, questo lavoro psico-genealogico può talvolta richiedere una vita intera, ma ha il merito di renderci attori della nostra famiglia piuttosto che vittime di essa.
Dopo esserci liberati dal destino familiare, dopo esserci ribellati alla famiglia, dopo averla forse odiata, detestata, lasciata, è impossibile concludere questa Immersione senza forse suggerire di tornare a essa. Per scelta, per amore, nei modi che più ci aggradano e, soprattutto, che ci assomigliano. Una famiglia mista, spezzettata, fusa, aperta, a tre, cinque o quindici persone. Una famiglia di sangue o una famiglia di cuore. Ci vogliono molto lavoro, sforzi, discussioni, aggiustamenti. Ma quando finalmente ci riusciamo, la famiglia ci offre quella che il sociologo britannico Anthony Giddens chiama "sicurezza ontologica", cioè una base da cui possono nascere i pensieri più belli e le azioni più grandi, un luogo dove impariamo la pazienza, l'alterità, il sostegno e l'amore incondizionato. Un luogo in cui si può essere sicuri che, qualunque siano gli scossoni e le vertigini del mondo esterno, ci sarà sempre una partita a monopoli, sempre una lampada accesa fino a quando l’ultimo non è rientrato, sempre il rito della pizza il sabato sera e la gioia ritrovata di stare insieme dopo un litigio.
Ti auguro di scegliere la sistemazione familiare che ti renda gioiosi questi giorni di vacanza. Grazie alla mia famiglia per avermi dato tanto amore, comprensibile e incomprensibile. Grazie a te che con la tua lettura e il tuo sostegno dai un senso a Immersioni e insieme ad altre 3144 persone sei una specie di famiglia.
Bellissima. Leggo sempre con gioia e curiosità. ogni lettera/newsletter. E questa mi ha davvero coccolato il cuore. Grazie per condividere bellezza.