Ciao, sono Chiara Gandolfi: verbal designer e voice actress. Con l’iscrizione a Immersioni hai vinto anche Misticanza di cose di lavoro che è questa newsletter mensile qui in cui dico quello che sto facendo. È la sorella anarchica di Immersioni, la secchioncella che parla dell’universo. Non si toccano mai come in Ladyhawke, ma sono il mio giorno e la mia notte.
Dormo poco, come tutte le primavere. E oggi è anche il mio compleanno. E così tra un’insonnia e l’altra, tra uno sguardo fiducioso al futuro e uno terrorizzato, pensavo: e se la nostra difficoltà a essere felici dipendesse, in parte, da un malinteso linguistico legato ai meccanismi della grammatica ordinaria? L’ipotesi può sembrare strampalata, eppure, posso dimostrarlo, o almeno provarci, potrebbe avere senso. Considera queste frasi:
Bevo l’aperitivo.
Mi rilasso in vacanza.
Godo.
Secondo le regole con cui costruiamo le nostre frasi (un sapere di cui sono depositarie da secoli le maestre delle elementari), il soggetto è il re dell’azione. È lui a decidere, a iniziare o interrompere l’azione, quindi sono io che bevo, vado in vacanza o provo piacere. In ogni caso, il soggetto è esterno al verbo, mantiene una certa distanza, si limita ad azionarlo da fuori. Tendiamo a pensare che il soggetto che parla o agisce sia qualcosa di solido, stabile, più reale dell’azione stessa. L’azione, al contrario, ci sembra qualcosa di secondario, che può esserci o meno, e che non ha davvero peso perché è solo un movimento. Ma se fosse il contrario? Se fosse l’azione a dare forma, anche solo per un attimo, al soggetto? Forse non abbiamo completa certezza di chi siamo o di cosa vogliamo: siamo esseri fluttuanti e indecisi. E allora è il verbo, l’azione, a tirarci fuori dalla nebbia e a darci, almeno per un momento, contorno e sostanza.
Nel linguaggio comune, quando dico che «mi godo le vacanze» o che «provo piacere» in realtà punto sempre a un risultato (qui, una qualche forma di appagamento dei sensi) da cui resto separata, che non ricade su di me, che non mi influenza in profondità. Se ribalto questa logica, capisco che è il piacere a rendermi soggetto, e persino che è la gioia a permettermi di dire “io” in modo particolare, in un punto molto preciso dello spazio e del tempo.
Questo rovesciamento della logica grammaticale, che propongo di riformulare intorno al tema della felicità, vale anche per quelle frasi in cui il verbo non indica un’azione, ma ha lo statuto di copula, come accade per il verbo essere in espressioni comuni quali: sono triste, sono arrabbiata, sono felice.
Finché la copula è vista come un semplice collante, un giunto tra due blocchi, l’io da una parte, la tristezza o la felicità dall’altra, mantiene fra loro una distanza incolmabile, non fa che unire parzialmente. Eppure, anche in questo caso potremmo leggere le frasi al contrario e ribaltare il campo di forze: «Sono felice» non significa che provo una felicità da cui il più delle volte mi sento esclusa, ma che, all’improvviso, uno stato di felicità mi permette di sentire in modo più intenso il fatto stesso di esistere.
Questa visione del linguaggio in cui i verbi diventano gli elementi centrali, i veri sovrani delle frasi, e i soggetti e i sostantivi sono relegati a ruoli secondari, quasi comparse, non ci permetterebbe forse di dare più valore ai nostri gesti e ai nostri stati passeggeri? Sconvolgendo un po’ la grammatica, non potremmo forse darci la possibilità di amare di più la vita? Sconvolgendo tutto, il mese prossimo trasloco.
Nome e payoff: i primi indizi della voce di brand
Quando smetti di parlare come brand, cosa lasci
Ci sono nomi che ti spalancano mondi e poi ci sono quelli che sembrano usciti da una riunione di condominio.
Nel nuovo articolo del blog parlo di voce di brand, payoff sbilenchi e nomi che fanno promesse che nemmeno loro capiscono. Perché no, “i dolci più sani del mondo” non è un’identità verbale: è una pubblicità progresso travestita da slogan. Ragiono su cosa succede quando la voce di brand non è un accessorio, ma una postura. E su come bastino due parole (definite bene) per cambiare la percezione di un brand. Esempi pratici, qualche affondo ma sempre delicato (che poi mi hanno detto che il gelato di Grezzo è buonissimo. Amici di Grezzo, potrei aggiustarvi l’identità verbale in cambio merce).
Lo trovi qui, fresco di stampa e senza zuccheri raffinati.



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Frammenti di faccio cose
Appena mi sistemo in casa nuova apro le iscrizioni per Storione Business 2025: il percorso online in 8 incontri dedicato a un piccolo gruppo di freelance e piccole attività. Un mix di pensiero autobiografico, personal branding, storytelling, content marketing. Iscriviti alla lista d’attesa se ti interessa.
Storione business è un percorso dove si pongono le giuste domande, si creano le giuste discussioni, si trovano i giusti strumenti per conoscere il mondo della comunicazione applicato al proprio lavoro. Personalmente mi ha tolta da un blocco in cui leggevo e studiavo sui libri ma non riuscivo ad applicare le cose che leggevo. Avere la possibilità di testare e revisionare in gruppo i lavori individuali ha fatto la differenza.
- Antonella Colistra, founder di sous la vie!
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La prossima settimana sono in trasferta sulle colline Toscane per una fase di ascolto e scoperta. Scriverò un libro sulla storia di una famiglia che produce vino. Vino e parole: che dittico.
Sto lavorando per un gruppo di scienziati, matematici, menti illuminate. Mi è ancora oscuro come riescano a fare quello che fanno ma come sempre accade, lavorare sui testi porta ordine e chiarezza. Intanto imparo.
È tutto da parte mia. Ma se tu vuoi scrivermi qualcosa, un ciao, un quantunque, un buon compleanno, di quella volta che non eri il soggetto e un verbo ti ha salvata, di quell’altra in cui inaspettatamente hai trovato un contorno a cui appartenere, sono qui. Puoi anche pagarmi un caffè. Se no, ci troviamo sul fondale nella prossima Immersione.
Prenditi cura di te,
Chiara