Qualche giorno fa ho avuto una conversazione spiacevole con un’ex cliente. Nei primi messaggi mi sono affannata per trovare un senso nelle sue risposte. Un senso che io non stavo vedendo. Alla fine, visto che non andavamo da nessuna parte, ho gettato la spugna, rimanendo con il dubbio e con le nostre incomprensioni. François direbbe che non è ancora arrivato il momento di capirne il senso. Chi è François, lo dico in fondo a questa mail.
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Secondo il vocabolario, la parola “senso” significa principalmente tre cose. Prima di tutto, la facoltà di sentire, ricevere impressioni da stimoli esterni; per questo diciamo il senso dell'olfatto o il senso dell’orientamento. Il secondo significato di senso è direzione, come per esempio il senso di un fiume, verso dove va, o senso vietato, di là non puoi andare. Infine il senso come significato, il senso di una frase, cosa significa, un discorso privo di senso, senza congruenza. Prendiamo in considerazione gli ultimi due, direzione e significato che, a livello di concetto, sono legati: identificare una direzione significa anche darle un significato.
Immagina di uscire di casa, per andare in un posto. Conosci la meta, sai dove stai andando ma manca qualcosa. Manca il significato che darai a ciascuno dei tuoi passi. Non è solo il luogo che conta, è la ragione per cui ci vai: c’è un doppio rapporto, il senso come direzione, ma anche come significato. Non è solo identificare una meta, ma è anche capire perché vogliamo arrivare lì.
Le nostre azioni iniziano a traballare appena il senso in quanto scopo è separato dal senso in quanto significato. Puoi aver identificato un obiettivo nella tua vita, professionale, personale o intima. Diventare indipendente il prima possibile, ricoprire una certa posizione lavorativa, trasferirti a Bali, avere una casa con il giardino, rimanere in forma, fare un figlio, sposarti. Ma alla fine, gli dai davvero un significato? Al di là della performance, al di là delle ingiunzioni della società, della famiglia, della cultura, del passato, perché? Quale significato dai a questa linea che hai fissato come orizzonte? Non c'è un senso assoluto. Non c'è un senso in sé. Il senso non è un ente, è una relazione che abbiamo con le cose, con gli altri. Iniziamo a dare senso dal momento in cui siamo capaci di verbalizzarlo. E di verbalizzarlo non solo a noi stessi, ma anche agli altri. Perché questo gesto e non quello? Perché questo lavoro e non quello là? Perché questa scelta di vita e non quell’altra?
Il significato è la chiave perché è ciò che ci permetterà non solo di sentirci più radicate e allineati, ma è anche ciò che ci permetterà di comunicare e di trasmetterlo agli altri. In effetti, tutto ciò che facciamo ha un senso, se solo lo comprendiamo. Questo è il primo punto.
Il non-senso
Ma cosa invece non avrebbe senso? Trovo interessante quando lavoro su un concetto - e Immersioni mi dà la possibilità di farlo da più lati - provare a desacralizzarlo mettendoci le mani dentro. Come sarebbe una vita senza senso?
Il non-senso, dopo quello che ho appena detto, è o l'assenza di scopo, non ho prospettive, non so dove sto andando, o l'assenza di significato, vedo lo scopo, ma non capisco bene perché ho quello scopo lì. Quello che chiamiamo non-senso, spesso, è un sentimento legato all’inutilità. È quando diciamo "non so cosa ci faccio qui", quando non c'è relazione tra l'obiettivo fissato e il significato che gli diamo che si genera uno scarto tra il reale e l'atteso. È uno scarto tra ciò che facciamo e ciò che pensiamo.
E non si tratta di vuoto. Il vuoto può essere fecondo, un luogo di possibile, un’apertura. Il non-senso, a mio parere, non è solo una mancanza di significato, è anche la mancanza di possibilità. Un'esperienza di non-senso, per me, è un'esperienza dove non c'è né direzione né significato, ma soprattutto non c'è alcuna apertura possibile.
Esistono situazioni in cui ci sentiamo inutili, come me nella conversazione con la mia ex cliente. Ma in realtà possiamo sempre portare una micro-azione. A volte è piccolissima, a volte sarà frustrante, a volte non ci verrà riconosciuta da nessuno, ma abbiamo tutti la capacità di agire.
L'altra cosa che a volte ci dà l'impressione che la nostra vita sia priva di senso, è una sofferenza etica. È l'impressione di essere spezzati tra i nostri valori e ciò che stiamo facendo. Può essere il modo in cui gestiamo la coppia, la famiglia, il lavoro, l’esistenza, il modo in cui mangiamo, consumiamo, comunichiamo. I valori non si definiscono da soli. I valori devono essere continuamente interrogati, considerati. Portiamo azione, portiamo competenze, portiamo inclinazioni. Sono le cose che ci stanno a cuore e che quando tradiamo consegniamo al non-senso.
Sono sufficienti cambiamenti minuscoli, nel modo di consumare, di parlare, nel modo in cui organizziamo il tempo, nel modo in cui ci rivolgiamo agli altri. E poi, a poco a poco, si può andare verso cose più profonde, interrogare l’ambiente di lavoro, chiederci se è coerente rispetto a ciò che desideriamo. E se non lo è, magari, avere la convinzione che possiamo apportare delle variazioni, cambiare tipo di clienti, pensare a una riconversione professionale. La sofferenza etica va considerata, è una sofferenza che abbiamo il diritto di esprimere.
Inutilità, sofferenza etica, e terzo aspetto, il ritmo di vita. Ricavare spazi di respiro: può essere l'ascolto di un podcast, può essere prendersi una lunga pausa a un certo punto della giornata, un museo il mercoledì mattina. Il non senso viene anche da un ritmo che non è più o non è affatto il nostro.
Dare un senso è quindi avere consapevolezza che siamo capaci di micro-azioni, interrogare i nostri valori e cercare di avere un ritmo intimo che ci somiglia, un po' più allineato con il ritmo esterno.
Il lasciar venire
François Jullien (sì, quel François lì sopra), filosofo contemporaneo, crede nel lasciar venire. Il lasciar venire è diverso dal lasciar andare. Il lasciar venire va contro tutti i piani, le proiezioni, le previsioni, i gradini, le teorie di ogni tipo. Il lasciar venire è l'idea che tutto nella vita, incluso dare un senso, è una questione di esperienza.
Magari stai leggendo questa newsletter e non è così interessante come speravi. Forse stai pensando alla lavatrice da avviare, ai tortellini da preparare, a un cliente che ti sta facendo dannare, alla rata da pagare. Forse trovi che questo pippone sia astratto e lunghissimo. Ma se ascoltiamo François Jullien, questo momento, secondo lui, potrebbe avere senso solo tra qualche giorno, tra qualche mese, tra qualche anno. Perché allora sarai in grado di collegarlo con altri momenti vissuti. Per François Jullien, dare un senso non è immediato. A volte il senso si coglie solo dopo molti anni. Quando ci torniamo su, ripensando alle nostre esperienze passate e all'improvviso diciamo "adesso capisco". Il significato arriva con questo sguardo retrospettivo e riassuntivo, capitalizzato sul vissuto.
Montaigne nei suoi Saggi si chiede se la vita ha senso e si risponde, "No, la vita non ha senso". E forse è per questo che è così interessante. Perché se tutto fosse già stato scritto, se tutto avesse un significato già predeterminato, allora forse la nostra capacità di agire, di essere responsabili, non esisterebbe più. Viviamo una vita in cui dobbiamo continuamente cercare, creare, trovare senso, in una libertà che a volte può essere inquietante, ma che è anche la nostra più grande ricchezza.
L’estate è un bel momento per mettersi in ascolto di tutte le nostre contraddizioni, di tutti i movimenti dell'anima. Il conflitto, quando rinuncia alla violenza, quando sceglie di dialogare, è una struttura fondamentale del pensiero. L'interno ha bisogno dell'esterno. Le nostre tristezze rispondono alle nostre speranze. Ed è al cuore di queste tensioni che accade qualcosa, che si costruisce una verità in comune. Non è una sintesi facile e superficiale. È una conversazione. Tra sé e sé. Forse tra sé e gli altri. Tra sé e la propria famiglia. Tra sé e i propri amici. Tra sé e i propri clienti, collaboratori. Si tratta di riflettere insieme, con le nostre erranze, le nostre ignoranze, le nostre aporie, i nostri disaccordi. Non essere nella conoscenza, ma scegliere l'interrogazione costante. Vivere anche con i nostri vicoli ciechi ed essere capaci di trovare la nostra coerenza in un aggiustamento permanente. Dialogare per non fissarsi mai. Contrariamente a quanto spesso si sostiene, il pensiero non è svuotato di ogni prospettiva d'azione, tutt'altro. Il pensiero diventa, spesso attraverso la scrittura, azione.