Il più grande filosofo che conosco è il mio fidanzato. In tempi non sospetti, Roberto Pasini mi aveva sganciato delle verità che in quel momento non ero pronta ad accogliere. Ho ripensato a quei discorsi, questa estate, quando, non era previsto, ho letto diversi libri* che giravano intorno al tema dell’amore, un sentimento intriso di complessità e contraddizioni. Ed è lì che il filosofo Pasini è ritornato in auge. Leggevo e mi sembrava di avere la sua voce nelle orecchie. Poi, come di tutte le cose che ho a cuore, ne ho parlato con le persone intorno a me. Dai libri alla vita e viceversa per non perdermi il piacere di dare tridimensionalità alle idee.
Così è venuto fuori che ho messo in dubbio due certezze che avevo:
L’amore è un sentimento
L’amore perfetto è l’amore che dura
Ho sempre avuto un’idea romantica dell’amore. I film, i libri, la società, i poeti, mettono in scena un racconto assoluto di trasporto e rapimento dei sensi. I filosofi non lo vedono di buon occhio. Per Lucrezio, Kant e Nietzsche, l'amore è un ostacolo alla conoscenza. Chi è innamorato non è più in grado di ascoltare la propria ragione profonda perché l’amore comporta una vertigine, una perdita di sé nel pensiero o nella carne dell'altro. Tra loro, solo Platone se ne discosta: nel Simposio, l'amore, infatti, diventa una via d'accesso al mondo del pensiero. Ma se Platone rivaluta l'amore, è anche perché gli conferisce delle sfumature. Laddove in italiano si usa solo una parola, amore, il greco distingue quattro tipi d’amore.
Per primo c’è l'eros, l'amore naturale, centrato sul sé, motivato dalla mancanza, dal desiderio, dalla voglia di raggiungere l'altro, dalla voglia di avere la persona amata accanto a sé. È lo slancio vitale che lo spinge. È la separazione che diventa dolorosa, che diventa insopportabile. Il rischio dell'eros è che se non è controllato, può diventare violento e instabile.
La seconda forma è lo storge, basato sull'affetto, centrato sul noi, sullo scambio. È l'amore che ci dà sicurezza. È l'amore per l'ambiente, quella tenerezza che siamo capaci di mobilitare per ciò che ci circonda. È qualcosa che possiamo ritrovare nell'amore familiare o nell'amore materno. Ti do nella speranza che tu riceva. Ti do nella speranza che tu sia in grado di vedere l'amore che ti sto trasmettendo. Qui, nonostante questa tenerezza, c’è un rischio di asservimento perché si aspetta che l'altro riceva, e se l'altro non ci mostra di ricevere, allora possiamo provare frustrazione.
La terza forma d'amore, è la filia che si basa sull'amicizia. Come nello storge, anche nella filia si parla di noi. È l'amore provato per persone che condividono con noi visione, valori, gusti, che si basa su una comunione di spirito. Il rischio della filia è di escludere alcune persone, quelle che, appunto, non condividono la nostra visione, non condividono i nostri valori.
Dopo eros, storge, filia, c’è agape, l'amore disinteressato, incondizionato. È l'amore che dona senza considerare se l'altro merita o meno il nostro amore, che dona per l'essere umano, che non si aspetta nulla, che è ancora più forte della tolleranza perché la tolleranza presuppone una persona tollerata. È l'umanità profonda che siamo capaci di attivare e mettere in moto.
Nella nostra vita, ci muoviamo tra queste diverse variazioni a turno sinonimo di desiderio, di mancanza, di bellezza, di sessualità, di divino, di incondizionato.
Ho l’impressione che la rappresentazione più comune che abbiamo fatto dell’amore nel tempo sia quella di eros, del sentimento. Nell’eros, l’amore è causa della relazione amorosa perché è il desiderio che ci spinge verso l’altro. Ma diventa la conseguenza nell’agape, ed è così per Roberto, perché nell’agape si esprime nei gesti: per lui l'amore non è una forza incontrollabile che ci trascina via, ma un atto di volontà, la scelta consapevole che si fa giorno per giorno di costruire insieme un futuro basato sulla reciproca valorizzazione e sulla cura. L’amore è un atto, ancora meglio, una serie di atti. Un amore non limitante, ma liberatorio: quello che insieme al suo amico Gera, affida alle “coppie additive” che aggiungono valore e celebrano l'individualità di ciascuno dentro e fuori dalla coppia e non alle “coppie sottrattive” quelle cioè che chiedono di sacrificare se stessi (come per esempio accade in episodi di gelosia o di violenza). In questo concetto, è molto vicino al pensiero di Bell Hooks che nel suo libro “All about love” critica la visione tradizionale dell'amore romantico, spesso basato su un'idea di fusione tra due individui, dove uno perde se stesso nell'altro.
Amare qualcuno non significa possederlo,
ma aiutarlo a diventare la persona che desidera essere.
Bell Hooks
L'amore cambia, evolve, si adatta, si interroga. L'amore come decidiamo di viverlo diventa un modello per comprendere le nostre intimità e il nostro rapporto con l'alterità. L’amore si intreccia con questioni di genere, potere, identità e trasformazione sociale.
Qui chiudo ma non troppo, per entrare nella seconda teoria sfatata e fa strano parlarne perché io ho un problema con la fine ma crescere è anche questo, lavorare sulle proprie convinzioni e paure. Quindi lo dico ad alta voce: non è vero che l’amore perfetto è l’amore che dura.
Mi commuovo anche io quando vedo coppie di 90 anni che teneramente si tengono mano nella mano. Si dice di un matrimonio che si conclude con un divorzio “che non ha funzionato"; al contrario, di una relazione che resiste nel tempo che “funziona”. Queste espressioni funzionaliste sono raramente utilizzate al passato: non si dice di due persone che sono state in coppia che "è andata bene tra loro". Il fatto che il loro amore sia finito sembra, in qualche modo, invalidarlo. Così, non solo siamo convinti che una storia d'amore che finisce, finisca sempre male, ma anche che una relazione amorosa delimitata nel tempo non valga mai quanto quella che dura più a lungo. Anche qui c’è lo zampino del filosofo Pasini. Io dal canto mio, ho spesso finito le mie storie abbastanza male: il mio ex marito se lo incontrassi per strada lo tirerei sotto con un trattore, ma Pasini no, è riuscito a finire bene con tutte le sue ex e ha lasciato in garage l’automezzo per lavori agricoli. Il finire e il funzionare interrogano il nostro rapporto con il tempo e, più precisamente, con le nozioni di limite e finitudine.
Sono cresciuta a suon di “e vissero per sempre felici e contenti”. Dove è quel per sempre che dà valore allo stare insieme e alla felicità. Portata a pensare che il vero amore implichi una forma di impegno a lungo termine necessario per fondare la fiducia che le persone si concedono, e fare in modo che la relazione porti conforto e sicurezza. In questo modo, la relazione costituirà una base solida per affrontare le tempeste della vita. Se il legame si rompe, questa rottura costituirà un tradimento dell'impegno preso, o almeno il fallimento del progetto che l’amore comportava.
L’amore che finisce ha finito il suo compito
L'idea che un amore perfetto debba durare fino alla morte ci porta a un pensiero assurdo: perché bisognerebbe aspettare di arrivare alla vecchiaia per riconoscere il valore di un amore? Significherebbe confondere la durata della relazione con la qualità dell'esperienza e l'intensità del sentimento. Questo pensiero è consolatorio in caso di rottura, perché ricorda che l'esistenza è una serie di rotture in cui l’amore ha la funzione di permetterci di evolvere.
La dinamica della relazione amorosa non può basarsi solo sulle qualità positive dell'altro: i difetti che i partner si rimproverano sono anche ciò per cui sono reciprocamente utili, perché i loro punti di attrito li spingono a crescere insieme. Gli esseri umani si avvicinano in base al modo in cui possono aiutarsi a migliorare, a guarire le loro ferite e a superare le loro sfide reciproche per quanto possibile. Di nuovo, questa osservazione ha un effetto rassicurante, perché, invece di considerare ogni separazione come una patologia o un fallimento, permette di concludere che la fine di una relazione ci dice che una dinamica di apprendimento è giunta al termine. Solo quando gli innamorati hanno imparato tutto quello che potevano insieme, l'attaccamento si scioglie e la relazione finisce. Purtroppo, questo punto di arrivo raramente avviene nello stesso momento per entrambi i partner, poiché i loro apprendimenti non sono simmetrici.
Ritorna il filosofo Pasini, per cui la relazione amorosa, contrariamente al discorso comune, non è lo scudo che dovrebbe proteggerci dalle prove, anche se include momenti in cui ci si sostiene e ci si conforta a vicenda. Non è destinata a costruire una fortezza che ci metta a riparo dalle avversità della vita. Nella relazione non si entra per salvare (questo il Pasini lo chiarì subito al nostro secondo incontro “vieni già salvata”). È vero il contrario: l'amore rappresenta la dinamica profonda che ci permette di rispondere alla domanda "chi sono io?" attraverso quest’altra domanda "chi siamo noi, l'uno per l'altra?". L'amore è apertura e campo di gioco, la prova e la sfida per eccellenza, in cui esplorare le nostre incoerenze, accettarle o correggerle per quanto possibile, l'uno attraverso l'altro.
Soffrire e fallire non sono sinonimi
Non è mia intenzione fare l’elogio delle separazioni, sarebbe ingenuo, esagerato, pericoloso e non da me. Nessuno vuole soffrire, per questo rifuggiamo il pensiero di una chiusura. Ma il problema non è tanto la sofferenza, quanto il nostro associarla al fallimento. Eppure, soffrire e fallire non sono la stessa cosa. È irrealistico pensare che una trasformazione profonda avvenga sempre nella gioia. Non si possono affrontare le proprie incoerenze ed esplorare le proprie ferite senza attraversare momenti difficili. Invece di interrogarci sull'amore per sapere a quali condizioni funziona, possiamo ribaltare la prospettiva. Perché va detto: l’amore funziona sempre. La vera domanda è: con quali nozioni di successo e fallimento, con quali confronti indebiti, con quali norme aberranti mettiamo così spesso in difetto la nostra storia, invece di accettare la sovranità dell’esperienza vissuta, abbracciare la nostra finitudine e meravigliarci della bellezza che possiamo trovarci dentro?
L’amore funziona sempre e ci cambia. Anche quando non dura.
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*I libri a cui faccio riferimento nell’introduzione di questa Immersione:
Mona Chollet, Réinventer l’amour: comment le patriarcat sabote les relations hétérosexuelles
Aline Laurent-Mayard, Post-romantique: comment moins de romance pourrait sauver l’amour (et la societé)
Bell Hooks, All about love: new visions
Ovidie, La chair est triste hélas
Grazie Chiara per avere sollevato come onde tante domande, e ringrazia anche il filosofo Pasini che ha suscitato questo racconto (un giorno mi piacerebbe conoscerlo 😃).
Sono profondamente convinta del fatto che l’amore ci aiuta fondamentalmente a capire chi siamo e, nel mio caso, il mio ultimo amore, peraltro a senso unico da parte mia, mi ha migliorato come persona e di questo non posso che essere grata. E grazie a te, per alcune chiavi di lettura insolite ma che mi spingono a ragionarci.